Con una recente sentenza pubblicata a dicembre la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande importanza, ovvero la legittimità di un licenziamento motivato in base a una sentenza irrevocabile di condanna per violenza domestica.
Secondo il lavoratore la decisione della Corte d’Appello che aveva confermato la legittimità del licenziamento era da censurare poiché non ha giudicato rilevanti le valutazioni positive dei servizi sociali e della struttura penitenziaria per collaborazione e buona condotta, in quanto fatti successivi ai comportamenti contestati.
Tali elementi invece, secondo la difesa, erano necessari a ricostruire la personalità del lavoratore e smentire la sua presunta pericolosità sul luogo di lavoro; pericolosità che, sempre secondo la difesa, sarebbe stata l’unica ragione del licenziamento.
Di diverso avviso la Corte che richiama un indirizzo consolidato secondo cui la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore ha quale obbligo accessorio quello di non mettere in atto comportamenti fuori dall’ambito lavorativo tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario.
E’ quindi giusta causa di licenziamento un comportamento, sia pure in ambito familiare, caratterizzato dal mancato rispetto della dignità altrui, da violenza e sopraffazione fisica e psichica, non sporadico bensì abituale.
Inoltre la Corte d’Appello non aveva stabilito un automatismo tra la condanna penale e la giusta causa di licenziamento ma aveva colto le implicazioni negative della violenza domestica sulla regolare esecuzione delle prestazione lavorativa, trattandosi di un conducente di autobus, tenuto quotidianamente a circolare nel traffico in condizioni stressanti e sempre a contatto con gli utenti del servizio, nei cui confronti deve essere evitato ogni rischio di reazioni scomposte, offensive o violente.
Infine secondo la Suprema Corte la riabilitazione seguita dal lavoratore a seguito della condanna per violenza domestica non può elidere retroattivamente la gravità sul piano disciplinare di tale condotta.