Sintesi a cura di Matteo Tasca

Licenziamento di una persona con disabilità e discriminazione indiretta

A seguito del superamento dei 180 giorni di assenza per malattia, un’azienda aveva licenziato una dipendente per giusta causa e confermato tale scelta sebbene, dopo il licenziamento, avesse saputo dalla dipendente che le assenze erano dovute a una patologia cronica, di lunga durata e con indispensabili cure, ripetute e invalidanti.

Il tribunale di Milano ha stabilito la natura discriminatoria del licenziamento riconoscendo il trattamento deteriore riservato alla lavoratrice per effetto della sua appartenenza alla categoria protetta delle persone con disabilità.

Riprendendo la giurisprudenza dello stesso Tribunale, il Giudice ha  riconosciuto la condizione di invalidità/disabilità per l’esistenza di un’effettiva minorazione fisica e indipendentemente dal riconoscimento formale dato dai competenti Enti Previdenziali.

Secondo le indicazioni della Corte di Giustizia, infatti, perché una limitazione possa rientrare nella nozione di disabilità deve essere probabile che sia di lunga durata e che abbia l’attitudine a ostacolare la vita professionale per un lungo periodo, circostanze adeguatamente provate dalla lavoratrice nel caso in esame.

Inoltre nelle assenze per malattia, che non devono superare i 180 giorni, non rientrano le assenze per malattia connesse alla specifica condizione di disabilità; farle rientrare nel periodo di comporto infatti costituirebbe una discriminazione indiretta che metterebbe le persone con disabilità in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.

Infatti i lavoratori con disabilità sono portatori di uno specifico fattore di rischio che ha quale ricaduta più tipica quella di determinare la necessità per il lavoratore sia di assentarsi più spesso per malattia sia di ricorrere, in via definitiva o per un protratto periodo di tempo, a cure specifiche e/o periodiche.